23 Novembre 1980
Quella fatidica sera del 23 novembre 1980, il
terremoto ci colse, come sempre, impreparati: una furia inaspettata, questione
di secondi che a noi parvero interminabili. Provammo sensazioni che ora
riusciamo a spiegare un po' disordinatamente, confusi, in un contrastante
passaggio di sequenze, proprio come avviene nella proiezione di un filmato dalle
situazioni caotiche. Quella grande paura, quel senso di debolezza, quell'impossibilità
di cercare un riparo per non soccombere, non ci lasciano ancora, specialmente
quando subentra la riflessione.
L'emozione del superato pericolo, il bisogno di porgere una mano ai più
bisognosi, la necessità di restare saldi agli antichi baluardi della fede, hanno
certamente contribuito a farci ritrovare la luce. Tutti abbiamo perso un pezzo
di cuore tra le macerie e ai lutti, alle sofferenze, alle privazioni si sono
aggiunte le precarie condizioni del dopo terremoto. Eppure era necessario
risalire la china, la vita richiedeva coraggio, collaborazione. Comunque si
doveva ringraziare Dio e gli esempi non sono mancati.
Ad un anziano Avellinese, segnato dalla perdita della casa e dei pochi averi, fu
chiesto cosa avesse provato in quel momento di panico e l'uomo: - Mi sono reso
conto che ero una povera cosa, una frana tra le frane, ero un po' di terriccio e
di polvere. Ho vissuto nell'attimo la fine. Ora so che il Signore mi ha
salvato!.
Spesso ritorno col pensiero ai nostri progenitori, alle città sepolte di
Ercolano e di Pompei, ai terremoti di Messina e di Casamicciola di cui mio padre
mi parlava e ancora alle scosse sismiche avvenute nei nostri paesi in epoche
passate, torno alla gente dell'Irpinia, del Belice, al coraggio degli abitanti
del Friuli, ai popoli del Giappone, del Messico,dell'India e ricollego tutto al
nostro 23 novembre del 1980. Ogni giorno, come allora, ci ritroviamo inermi
davanti agli eventi naturali.
È umano ricordare, è lecito pensare al proprio dolore ma al di là delle parole
che non diciamo, ai silenzi che non annotiamo, le nostre comuni esperienze ci
legano al bisogno di ritrovare quell'abbraccio di quando superstiti continuammo
a pregare.
Antonietta Miele